I fattori nella definizione delle politiche per la sostenibilità: un confronto

Jillian Giberson, Policy Consultant

In tutto il mondo, le amministrazioni nazionali e multinazionali stanno adottando politiche per la sostenibilità sempre più vincolanti. In Europa la direttiva relativa alla comunicazione societaria sulla sostenibilità (CSDR) ha spinto le compagnie a conformarsi ai nuovi standard per la rendicontazione sulla sostenibilità. Negli Stati Uniti il pacchetto di sgravi fiscali noto come Inflation Reduction Act ha mobilitato miliardi di dollari per progetti di energia pulita. Nell’Asia Pacifica molti paesi hanno adottato dei criteri di rendicontazione propri, come la “K-Taxonomy”, la tassonomia nata in Corea del Sud per unificare le attività economiche ecologiche.

L’aumento dei requisiti per la rendicontazione, gli standard ecologici e la disponibilità di fondi per lo sviluppo sostenibile hanno avuto un forte impatto sul settore degli investimenti immobiliari. Per complicare ulteriormente le già complesse normative presenti, ogni paese sembra impiegare un metodo diverso nella strategia della definizione delle politiche. L’UE ha adottato l’approccio “del bastone”, attuando normative che richiedono conformità e prevedono sanzioni, mentre gli USA hanno adottato l’approccio “della carota”, promuovendo l’azione tramite sovvenzioni e agevolazioni fiscali.

Cosa dicono questi approcci diversi sull’attuale ambiente normativo? E quali conseguenze hanno queste differenze per il rischio di non conformità e per le strategie aziendali per la sostenibilità?

L’Unione Europea

L’Unione Europea non si è mai tirata indietro di fronte ad ambiziose disposizioni normative ed è spesso elogiata per il suo ruolo esemplare nelle politiche per il clima. La maggior parte degli sviluppi normativi sono ratificati dalle autorità a Bruxelles e le conseguenti direttive vengono poi trasmesse alle diverse legislazioni degli Stati membri.

Le aziende sono coinvolte nel processo di definizione delle politiche soprattutto tramite le consultazioni e le sedute della Commissione del Parlamento europeo. Tuttavia, le aziende e altri gruppi d’interesse non hanno accesso diretto alle autorità nel processo di definizione delle politiche a causa delle severe regole UE sul lobbismo, né detengono la stessa influenza che hanno invece i gruppi di pressione per le aziende negli Stati Uniti. Secondo uno studio risalente al 2008, la maggior parte dei lobbisti ha raggiunto un “successo basato su compromessi”, ottenendo quindi alcune delle loro richieste e rinunciando ad altre. Di contro, negli Stati Uniti i lobbisti ottengono sempre più risultati grazie al sistema maggioritario. Questo verrà discusso nel dettaglio più avanti, ma evidenzia comunque una disparità importante riguardo all’integrazione degli interessi aziendali nella definizione delle politiche.

Forse proprio questo “successo basato su compromessi” ha portato a un sistema normativo caratterizzato da standard minimi, obbligo di conformità e frequenti revisioni. Ne sono un esempio le prossime revisioni della direttiva UE sulla prestazione energetica nell’edilizia e le discussioni in corso sul sistema dei principali effetti negativi (PAI) nel regolamento relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (SFDR). Le associazioni e i gruppi d’interesse nel settore immobiliare hanno reso evidente che gli attuali requisiti della certificazione energetica degli edifici (EPC) sono poco chiari e non coerenti per tutti i paesi e tipi di asset. I requisiti EPC non verranno abbandonati da Bruxelles, ma alcuni gruppi come la European Association for Investors in Non Listed Real Estate Vehicles (INREV) hanno espresso in consultazioni che l’eterogeneità dei sistemi EPC europei renderebbe quasi impossibile la conformità con un unico standard europeo. Di conseguenza, Bruxelles ha rivisto il ruolo delle EPC nelle normative europee.  

Per le aziende operative nell’UE, la conformità normativa dovrebbe essere una priorità nelle strategie aziendali per la sostenibilità. Per molte compagnie multinazionali particolarmente grandi, includere i fattori della sostenibilità nei piani aziendali non è più un optional ma una necessità.

Gli Stati Uniti d’America

Contrariamente alla sempre più lunga lista dell’UE di regolamenti per la sostenibilità, la questione dei cambiamenti climatici negli Stati Uniti a livello nazionale rimane ai margini. Mentre nell’UE c’è consapevolezza sul bisogno di un’ambiziosa azione per il clima, negli USA il dibattito sulla fondatezza delle politiche per il clima e a volte perfino sull’esistenza stessa dei cambiamenti climatici sono ancora un ostacolo alla definizione di politiche a livello federale. Inoltre, la definizione di politiche è spesso un processo che comincia dal basso, a partire da politiche a livello comunale e degli Stati federali. Per esempio, una legge come la Local Law 97 di New York City, che stabilisce un limite di emissioni per edifici di grandi dimensioni, va oltre qualsiasi regolamento esistente a livello degli Stati federali e nazionale per gli obiettivi e la portata che implica.

Tuttavia, negli ultimi anni ci sono stati alcuni raggiungimenti nel campo dell’azione per il clima a livello nazionale negli USA. Il più notevole è il pacchetto di sgravi fiscali noto come Inflation Reduction Act (IRA) del 2022, che rappresenta il più grande investimento nell’azione per il clima della storia statunitense con oltre 370 miliardi di dollari per gli investimenti stanziati. Mentre l’UE mette a disposizione diversi incentivi fiscali, il fatto di essere incentrato sui meccanismi di finanziamento distingue l’IRA da qualsiasi altra controparte europea.  

Inoltre, la Commissione per i titoli e gli scambi statunitense (SEC) ha annunciato di voler attuare informative obbligatorie relative al clima per le compagnie quotate in borsa. Una rendicontazione obbligatoria sui fattori ESG, incluse le emissioni di gas a effetto serra, sarebbe la prima a livello federale. Tuttavia, non si tratta di un atto del Congresso ma di un regolamento pubblicato da un organo governativo e quindi non sarà sottoposto al processo legislativo del Congresso che porta spesso a situazioni di stallo. Non significa però che il regolamento non incontrerà ostacoli. La proposta finale è già stata rimandata numerose volte ed è già in corso un ricorso da parte degli Stati federali repubblicani, nello spirito del caso West Virginia vs. EPA (l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente). Si tratta di una sentenza pronunciata dalla Corte Suprema statunitense a ottobre 2022: il caso West Virginia vs. EPA ha diminuito il potere che gli organi governativi hanno nel controllo sulle emissioni di gas a effetto serra.

I gruppi d’interesse aziendali hanno partecipato alla discussione sull’evoluzione dell’Inflation Reduction Act e sulla proposta del regolamento sull’informativa relativa al clima della SEC. Come detto in precedenza, le aziende ricoprono un ruolo centrale nello sviluppo delle politiche e normative negli USA. La mancanza di regolamenti per il clima è dovuta in parte anche dal già citato sistema maggioritario dei processi di lobbismo. Gruppi d’interesse con molta influenza, tra cui i settori del petrolio e del gas, hanno da sempre avuto un ruolo centrale nel controllo sulle politiche che riguardano i limiti delle emissioni, i mercati del carbonio e altre misure di conformità, richiedendo piuttosto degli incentivi e delle agevolazioni fiscali. Gli investitori invece sostengono la proposta dell’informativa per il clima della SEC, che sta a dimostrare l’ottica in cui il settore privato vede le politiche legate al clima.

Mentre le aziende operative negli USA hanno un minor rischio di non conformità alle disposizioni sulla sostenibilità a livello federale, in ambito privato è presente un sempre più forte desiderio di includere anche le questioni legate al clima. Se la situazione di stallo negli organi legislativi federali perdurerà, è probabile che gli investitori promuoveranno sempre di più la rendicontazione per la sostenibilità e i regolamenti sull’informativa per il clima della SEC.

Asia Pacifica

Se in Europa si usa il metodo “del bastone” e negli USA quello “della carota”, la regione APAC si posiziona a metà dei due approcci. Certo, è difficile analizzare i paesi APAC come un gruppo omogeneo, viste le sostanziali differenze amministrative di paesi come l’Australia, la Cina e il Giappone, ma si possono comunque individuare alcune tendenze comuni.

Analogamente all’UE, la Cina, il Giappone, la Nuova Zelanda e la Corea del Sud hanno introdotto mercati del carbonio obbligatori che limitano la quantità di emissioni di gas a effetto serra emesse da determinate industrie. Per esempio, il sistema di scambio di quote di emissioni (ETS) della Cina regola a livello nazionale più di 2000 aziende nel settore energetico, con l’intenzione di espandersi verso altri mercati in futuro. Il sistema di scambio di quote di emissioni coreano ha coinvolto le prime aziende che regolano ETS obbligatori a livello nazionale non solo nel settore energetico ma anche nell’industria, nell’edilizia, nei rifiuti e nei trasporti.

Anche i mercati ESG dell’Asia si sono espansi negli ultimi anni. L’ Autorità monetaria di Singapore ha stanziato 2 miliardi di dollari statunitensi per un progetto di investimenti ecologici che darà fondi a gestori di asset che dirigono progetti di sviluppo ecologico nella regione. Analogamente, l’Australia ha devoluto 25 miliardi di dollari australiani al piano Powering Australia, includendo anche incentivi fiscali per gli impianti di energia rinnovabile e per le tecnologie a basse emissioni.

Per quanto riguarda le tassonomie verdi e la rendicontazione per il clima obbligatoria, molti paesi APAC hanno già adottato modelli simili alla tassonomia dell’UE e al SFDR. Hong Kong e Taiwan hanno già imposto requisiti di informativa non finanziaria, e Giappone e Singapore seguiranno a breve con piani simili.[1] Come negli Stati Uniti, anche qui l’aggiornamento sulle informative obbligatorie è stato inizialmente lento, siccome le autorità hanno aspettato per osservare l’andamento dei quadri di riferimento europei prima di svilupparne di propri.

Come regione, l’APAC è ancora occupata con lo sviluppo economico, data la presenza di alcune delle più grandi potenze economiche al mondo sia emergenti sia già consolidate. Per molti paesi nella regione rimane una priorità attirare investimenti esteri. Diversamente da UE e USA, che traggono benefici dai loro mercati finanziari consolidati, i maggiori paesi APAC vedono gli ESG come un’occasione per assumere una posizione di rilievo in questo ambito nuovo. Se sfruttato correttamente, gli investimenti ESG, per economie relativamente piccole come Singapore o Hong Kong, significano la possibilità di promuovere la crescita, attirare investimenti esteri e aumentare l’industria sostenibile.

Anche le aziende non dovrebbero sottovalutare questa occasione. La sostenibilità è spesso vista come un faticoso processo di rendicontazione e requisiti normativi. Tuttavia, la partecipazione ai mercati ESG può portare molte altre possibilità. All’interno di un ambiente normativo dinamico come quello degli ESG, rimanere al passo con l’evoluzione delle politiche non rappresenta solo una mitigazione del rischio ma può significare anche un ritorno sostanziale. Sia i successi sia i fallimenti dei regolamenti UE per la finanza sostenibile e delle politiche nazionali connesse contribuiranno ad influenzare l’andamento globale, non solo nei paesi APAC ma anche nell’America del Nord.

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[1] Si prega di consultare la gestione e informativa di rischi legati al clima da parte di gestori di fondi (Management and Disclosure of Climate-related Risks by Fund Managers) della Hong Kong Securities & Futures Commission e le linee guida per le informative finanziarie legate al clima (Guidelines on Climate-related Financial Disclosures) della Taiwan Financial Supervisory Commission.

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